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giovedì 5 febbraio 2015

GUANTI STAGNI: video guida per installazione su polsini in lattice

GRAVITY ZERO VIDEO GUIDE. Seguendo questo video imparerai ad installare facilmente i guanti stagni sulla tua muta con polsini in lattice.


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GUANTI STAGNI : video guida per installazione su polsini in neoprene

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venerdì 4 aprile 2014

9 Trucchi per immergersi al meglio con la muta stagna


Nove trucchi per immergersi al meglio con la muta stagna.
di 
Fabrizio Pirrello


Per continuare ad immergersi quando l’acqua è fredda diventa indispensabile utilizzare una muta stagna. Per intenderci definiremo fredda l’acqua quando la temperatura è inferiore ai 18°C. Immersioni con la muta umida con temperature dell’acqua inferiori ai 18°C diminuiscono sensibilmente l’efficienza e la capacità di concentrazione del subacqueo con un evidente aumento dei rischi. Con temperature nell’ordine dei 12°C o meno l’uso di una muta stagna si rivela indispensabile. Ovviamente con una buona muta stagna riusciremo a risolvere il problema del freddo, ma per utilizzarla al meglio occorre capirne a fondo il funzionamento. Utilizzare la muta stagna non è complicato. Ma se non si conoscono alcuni “trucchi” danneggiare la muta o farsi del male diventa estremamente semplice.


In sintesi ecco 9 trucchi per ottimizzare l’impiego della vostra muta stagna.

venerdì 13 settembre 2013

Il giubbetto equilibratore



Una delle componenti fondamentali dell’equipaggiamento subacqueo è sicuramente il giubbetto equilibratore, denominato anche GAV (giubbetto ad assetto variabile).
Il GAV assolve alla medesima funzione della vescica natatoria dei pesci: aiuta a raggiungere e mantenere un assetto neutro in immersione indipendentemente dalla profondità raggiunta.
La necessità di effettuare una compensazione d’assetto è legata alle mutazioni che l’insieme subacqueo e attrezzatura subiscono nel corso dell’immersione.
In particolare ci riferiamo a:
  1. schiacciamento della muta
  2.  svuotamento delle bombole legato al consumo d’aria con conseguente alleggerimento delle stesse
Ciò produce effetti molto evidenti sull’assetto del subacqueo.
Il GAV assume quindi un ruolo estremamente utile nelle varie fasi dell’immersione soprattutto perché:
  • aumenta il comfort dell’immersione
  • aiuta a diminuire lo sforzo e quindi riduce il consumo d’aria
  • aumenta la sicurezza in immersione

giovedì 29 marzo 2012

Tipologia di mute stagne di Fabrizio Pirrello

a cura di Fabrizio Pirrello

I materiali

Le mute stagne si dividono in due grandi famiglie: mute in tessuto e mute in neoprene.
Sono mute in tessuto tutte quelle mute realizzate in: trilaminato, poliuretano, trilaminato di poliestere, poldura, bilaminato, precompresso, ecc..
Sono mute in neoprene quelle realizzate con neoprene.
A queste due famiglie se ne aggiunge una terza: le mute in neoprene precompresso e le mute in neoprene a cellule rotte. Sono mute dell'ultima generazione che grazie all'impiego di materiali relativamente nuovi, cercano di cogliere gli aspetti positivi delle mute in tessuto e di quelle in neoprene.

Vediamo in sintesi le caratteristiche di queste tre famiglie di mute.


Mute in tessuto:



1. leggere e facili da asciugare
2. nessuna protezione termica
3. facili da riparare
4. molta libertà di movimento a secco
5. scarsa idrodinamicità

1. pesanti e difficili da asciugare
2. protezione termica in funzione dello spessore
3. non facili da riparare
4. scarsa libertà di movimento a secco
5. discreta idrodinamicità


1. pesanti e difficili da asciugare
2. ottima protezione termica se paragonata allo spessore
3. non facili da riparare
4. buona libertà di movimento a secco
5. ottima idrodinamicità
Mute in neoprene a cellule rotte:


1. pesanti e difficili da asciugare
2. scarsa protezione termica
3. difficili da riparare
4. buona libertà di movimento a secco
5. ottima idrodinamicità

Visto ciò, cerchiamo di tracciare delle linee guida che possano aiutare nella non facile scelta.

Le mute in tessuto hanno dalla loro una grande praticità di utilizzo, soprattutto fuori dall'acqua.

Le mute in neoprene sono calde in acqua, ma non molto pratiche da gestire per i loro ingombri, per il loro peso e per la difficoltà nell'asciugarsi.

Le mute in precompresso esprimono le loro migliori doti in immersione ove consentono idrodinamicità (taglio meno abbondante), protezione termica e robustezza; tuttavia finita l'immersione emergono il peso, la difficoltà nell'asciugarsi.

Le mute in neoprene a cellule rotte assomigliano molto alle mute in tessuto e come loro necessitano di sottomuta; in acqua tuttavia offrono grande comfort grazie al loro taglio non abbondante; il prezzo da pagare in superficie è dato da peso e lentezza nell'asciugarsi.

Nella scelta del modello più adatto, dobbiamo valutare quale sarà il tipo di utilizzo prevalente.

Non esiste in assoluto la stagna ideale, ma solo la stagna più adatta per certe condizioni.

Il consiglio
Individuato il modello che meglio risponde alle vostre esigenze guardate a questi particolari che si riveleranno estremamente importanti nell'uso pratico.
Taglia
Mai aderente. La stagna ha vestibilità comoda. La vestibilità andrebbe vista indossando lo stesso sottomuta che indosserete per le immersioni.

Stivaletto
No agli stivaletti enormi. Un buon stivaletto non blocca l'articolazione del piede, non costringe all'uso di pinne di taglia spropositata. E' piccolo e rinforzato solo dove serve: suola, tallone, punta.

Valvole
Carico e scarico devono essere montate con i relativi sottovalvola. La valvola di carico va sul petto o in posizione centrale o leggermente disassata. La valvola di scarico (automatica) va subito sotto il deltoide; l'automatismo del funzionamento richiede che la valvola di scarico si trovi nella parte più alta. Perchè fare movimenti inutili quali alzare il braccio piegando il gomito? Solo se le valvole saranno correttamente posizionate, l'uso sarà piacevole e naturale. No deciso a valvola di scarico su avambraccio.

Bretelle
Se la muta calza bene, a cosa servono? Pensate che delle bretelle veramente possano risolvere il problema originato da una taglia non corretta? Nel caso delle mute con busto telescopico invece le bretelle consentono il funzionamento del modello. Le bretelle devono essere elastiche e sganciabili con fastex per un maggiore comfort.

Nastratura
Una buona muta stagna è nastrata. La bandellatura interna è garanzia di tenuta nel tempo. Osservate in ogni caso la precisione della nastratura: avrete un'idea della cura posta nella realizzazione della muta. La nastratura può essere effettuata o con l'applicazione di un apposito nastro o con uno speciale sigillante polimerico. Assolutamente da evitare le nastrature applicate a caldo: non tengono nel tempo.

Assistenza
Prima o poi avrete necessità di assistenza per la vostra muta stagna: valutate se chi vi vende la stagna è in grado di fornirvi direttamente l'assistenza. Vi immaginate rimanere un mese o più senza la stagna in inverno per una banale rottura di un collarino? I rivenditori non sono tutti uguali. Nel prezzo di acquisto, è compreso anche il servizio di assistenza. Ma chiedetevi sempre: lo fanno loro il servizio di assistenza o la devono spedire a qualcuno?

Il costo
Il costo è un parametro che abbiamo volutamente trascurato finora. Infatti riteniamo che il costo di una muta stagna non vada visto solo come costo iniziale di acquisto, ma vada rapportato al tempo di utilizzo. In realtà una buona muta stagna è destinata a durare anni ed allora il costo per immersione di una stagna molto costosa può risultare paradossalmente più basso di quello di una stagna economica.

Il rivenditore
Una volta decisa la tipologia di muta che meglio risponde alle nostre esigenze dobbiamo scegliere dove acquistarla. Sembrerebbe la parte più semplice dell'operazione ma non è così. Un rivenditore che sia degno di questo nome ha la muta in deposito in tutte le taglie per farvela misurare. Se la deve ordinare allora potete tranquillamente ordinarla voi direttamente. Non tutti i rivenditori credono nel prodotto muta stagna e pertanto non ne hanno disponibilità. Nella scelta premiate chi ha investito sul prodotto ed ha in pronta consegna le mute e diffidate di chi deve solo ordinare il prodotto facendovi attendere.

Una buona muta stagna non può essere economica!
Per una selezione ampia di mute stagne vai su:

lunedì 26 marzo 2012

Nove trucchi per immergersi al meglio con la muta stagna




Nove trucchi per immergersi al meglio con la muta stagna.
di
Fabrizio Pirrello


Per continuare ad immergersi quando l’acqua è fredda diventa indispensabile utilizzare una muta stagna. Per intenderci definiremo fredda l’acqua quando la temperatura è inferiore ai 18°C. Immersioni con la muta umida con temperature dell’acqua inferiori ai 18°C diminuiscono sensibilmente l’efficienza e la capacità di concentrazione del subacqueo con un evidente aumento dei rischi. Con temperature nell’ordine dei 12°C o meno l’uso di una muta stagna si rivela indispensabile. Ovviamente con una buona muta stagna riusciremo a risolvere il problema del freddo, ma per utilizzarla al meglio occorre capirne a fondo il funzionamento. Utilizzare la muta stagna non è complicato. Ma se non si conoscono alcuni “trucchi” danneggiare la muta o farsi del male diventa estremamente semplice.




In sintesi ecco 9 trucchi per ottimizzare l’impiego della vostra muta stagna.
1 Assicuriamoci che le guarnizioni stagne a polsi e collo siano correttamente adattate e ben indossate.
In una muta stagna non c’è niente di peggio o di più fastidioso che ritrovarsi con polsini e collarino non adatti alla propria conformazione fisica. Se sulla vostra muta stagna avete delle guarnizioni in lattice, controllate la calzata e se risultano troppo strette procedete a rifilarle. L’operazione in sé non presenta eccessiva difficoltà ma richiede attenzione, pazienza ed un buon paio di forbici. Seguire i solchi sulle guarnizioni agevolerà notevolmente il lavoro. Attenzione nella misurazione: le guarnizioni per assolvere al proprio compito devono aderire; quindi il diametro delle guarnizioni stesse deve essere inferiore del 15% rispetto alla circonferenza di polsi e collo. Se la vostra stagna è equipaggiata con guarnizioni in neoprene, la misurazione è identica. La differenza è che le guarnizioni in neoprene non vanno rifilate ma “adattate” estendendole forzatamente. L’operazione si esegue facilmente con una bombola (per il collo) o con delle bottiglie (per i polsini). Il rivenditore saprà in ogni caso darvi i suggerimenti adeguati. Polsini e collarini ben conformati ed adattati saranno confortevoli da indossare e di nessun fastidio in immersione. Non usate la muta stagna in acqua prima di aver verificato ed adattato le guarnizioni stagne del capo.
2 Controlliamo la nostra muta almeno due giorni prima dell’immersione.
Le mute stagne sono dei capi estremamente affidabili e durevoli ma è buona norma procedere a dei controlli prima dell’immersione. Ciò è tanto più vero nel caso in cui la vostra muta stagna sia rimasta inutilizzata per qualche mese. Mai immergersi con la muta stagna se prima non si sono fatti i controlli. Cosa controllare nella stagna: cerniera stagna, polsini, collarino e valvole. Ma perché fare questi controlli due giorni prima dell’immersione? Perché altrimenti non avremmo il tempo per procedere alle riparazioni del caso. Scoprire che qualcosa non funziona la sera prima dell’immersione sarebbe veramente spiacevole.

3 Adeguate l’isolamento termico offerto dal sottomuta in funzione della temperatura dell’acqua e del carico di lavoro che vi accingete ad affrontare.
Uno dei maggiori vantaggi offerti da una muta stagna è che essa vi consentirà di affrontare un ampio range di temperature dell’acqua. Sarà sufficiente variare il tipo di indumento impiegato sotto la muta stagna. Il vostro isolamento termico dovrà variare secondo quelle che saranno le diverse condizioni dell’immersione. Indossare un sottomuta troppo termico o troppo poco termico porterà ad una generale perdita di confort. Occorre poi tenere presente che la tipologia di sottomuta adottato influenzerà anche la pesata d’assetto.
4 Indossate il minimo indispensabile di zavorra.
Indossate sempre la minima quantità possibile di zavorra quando vi immergete con la muta stagna. Quanto più contenuta risulterà la vostra zavorra, tanto più bassa sarà l’esigenza di caricare aria nella vostra muta stagna per raggiungere l’equilibrio idrostatico. Con la muta stagna occorre adottare la medesima procedura utilizzata con la muta umida per determinare la pesata d’assetto. Indossando l’equipaggiamento completo, con la stagna completamente collassata, il jacket sgonfio, un 50 bar di aria nella bombola con un’inspirazione completa dovreste rimanere perfettamente verticali in acqua, in galleggiamento (al livello degli occhi), senza dover effettuare alcuno sforzo. Quando espirate completamente dovreste invece affondare. Se queste due condizioni si verificano significa che avete raggiunto il vostro assetto neutro: cioè la vostra galleggiabilità non viene ad essere influenzata dall’equipaggiamento che indossateUna volta raggiunto l’assetto neutro, la quantità di zavorra che utilizzerete sarà esattamente quanto basta per consentirvi di effettuare in estrema tranquillità una eventuale sosta di decompressione. Questo è il motivo per cui la bombola non doveva essere completamente carica quando abbiamo seguito la procedura per la determinazione della pesata d’assetto.
5 Indossate sempre il giubbetto equilibratore con la muta stagna.
Indossare un giubbetto equilibratore quando si impiega la muta stagna è indispensabile. In immersione il giubbetto equilibratore viene impiegato per compensare le variazioni d’assetto (legate all’aumento della profondità) e fornisce un backup nel caso di rottura della muta stagna (per il raggiungimento dell’assetto positivo). In superficie invece il giubbetto equilibratore vi aiuterà a mantenere un assetto positivo evitando di insufflare aria nella muta stagna (evitando la spiacevole sensazione causata dall’accumulo di aria nella zona del collarino).
6 Immergetevi con un compagno che conosca il funzionamento della vostra muta stagna.
Quando vi immergete con la muta stagna, la presenza di un compagno d’immersione sarà sempre di notevole aiuto, a partire dalle operazioni di apertura e chiusura della cerniera stagna. Inoltre un compagno esperto saprà controllare il corretto posizionamento del collarino della vostra muta stagna e vi potrà persino aiutare nell’indossare e togliere la muta. In acqua invece un compagno d’immersione esperto, che conosca il funzionamento della vostra muta stagna, potrebbe essere di enorme aiuto in caso di difficoltà legate all’impiego della muta.
7 Frequentate un corso o uno stage di specializzazione.
Il modo migliore per acquisire padronanza nell’uso della muta stagna è frequentare uno stage di specializzazione. Il fai da te non è da considerare una scelta sbagliata ma sicuramente vi è una controindicazione: si impara dagli errori commessi invece che far tesoro di esperienze errate altrui. Inoltre un istruttore esperto e professionale vi insegnerà tutti i trucchi per impiegare al meglio la vostra muta stagna e per calcolare la corretta pesata. Eviterete di acquisire cattive abitudini nell’uso dell’equipaggiamento. Rivolgetevi sempre ad un centro specializzato che vi possa offrire anche la possibilità di noleggiare differenti tipologie di muta stagna per capire quale di esse risponde meglio alle vostre aspettative.
8 Fate molta pratica con la vostra muta stagna al fine di acquisire sempre maggiore padronanza.
Frequentato un corso specifico, l’apprendimento non è terminato: avete acquisito solo le basi del corretto impiego della muta stagna. Occorre a questo punto acquisire padronanza nell’uso dell’equipaggiamento. Tale padronanza si acquista con la pratica. Immergervi con la vostra muta stagna deve diventare perfettamente naturale; solo così potrete apprezzare in pieno i notevoli vantaggi che essa offre nell’esplorazione dei fondali. Abituatevi a riprendere la normale posizione di nuoto dopo essere finiti con i piedi verso l’alto a causa di un movimento dell’aria all’interno della muta. Imparate a localizzare rapidamente le valvole di carico e scarico dell’aria, a disconnettere la frusta di bassa pressione. Imparate a scaricare la muta dal collarino o dal polsino senza allagarvi. Imparate a scaricare la muta sia con la valvola di scarico settata su “automatico” che su “manuale”. Nessuna delle abilità sopra descritte è particolarmente difficile da acquisire: occorre pratica e buona volontà.
9 Effettuate una corretta manutenzione alla vostra muta stagna.
Premettiamo che una muta stagna richiede maggiore manutenzione rispetto ad una muta umida. La base della manutenzione è sicuramente un accurato lavaggio con acqua dolce dopo ogni immersione (prestando attenzione a non bagnare l’interno della muta). Ispezionate poi tutte le guarnizioni, la cerniera stagna e le valvole per individuare e prevenire fonti di problemi in immersione. Se l’interno della muta si presenta particolarmente umido o bagnato effettuiamo un check per individuare eventuali perdite. Cominciamo dagli stivaletti che impieghiamo per camminare. Proseguiremo gonfiando la muta e “saponandola” per evidenziare eventuali fori. Effettuati i controlli post immersione ed il lavaggio vediamo come dobbiamo riporre la muta. Facciamo asciugare la muta lontano dal sole e da fonti di calore; evitiamo di appenderla con i tradizionali appendini (per non stressarla) e non poggiamola su oggetti appuntiti. Il modo corretto di riporre la muta è piegarla e stivarla nella propria sacca (mai da umida!). La cerniera stagna andrà lubrificata periodicamente con l’apposita cera a conservata in posizione di apertura. Mai sottoporre la cerniera stagna a piegature eccessive. Le guarnizioni in latex vanno invece lubrificate con Talco puro; tale operazione agevola la vestizione e consente un corretto stoccaggio della muta. Evitate accuratamente di spruzzare spray al silicone sulla vostra muta stagna: non serve a mantenerla efficiente e renderà difficoltosi eventuali interventi di riparazione. Terminato l’uso della stagna riponetela asciutta nella sua borsa, lontano dalla luce, da fonti calore, dal sole e dall’umidità ed in luogo fresco; la cerniera sempre aperta e lubrificata; la muta bene arrotolata al fine di evitare pieghe eccessive.

Seguendo questi semplici e pochi trucchi apprezzerete in pieno il vantaggio di immergervi all’asciutto. Non c’è sostituto efficace di una buona muta stagna quando la temperatura comincia ad abbassarsi!


domenica 18 marzo 2012

Environmental & Microbubble Cognizant 20 compartimenti di Fabrizio Pirrello

Environmental Cognizant = assume informazioni da ambiente circostante.

L'acronimo EMC-20H sintetizza Environmental & Microbubble Cognizant 20 compartimenti con impiego di He nella miscela respiratoria.



L'algoritmo implementato nei computer della COCHRAN tiene conto, ai fini dei calcoli decompressivi, della temperatura dell'acqua adeguando nel corso dell'immersione l'algoritmo.
Difatti, la legge di Henry che regola l'assorbimento ed il rilascio di inerte nei tessuti, fa riferimento a "temperatura costante". Questo significa che variazioni della temperatura producono variazioni nell'assorbimento e nel rilascio dell'inerte dai tessuti e l'algoritmo della COCHRAN è automaticamente compensato per tenere conto di tali variazioni.

Tutti i computer della COCHRAN sono dotati di software che adegua la lettura della profondità automaticamente in base alla lettura della salinità dell'acqua. La lettura della profondità su tutti i computer della COCHRAN è una profondità reale e non dipende dalla taratura effettuata in laboratorio con riferimento ad acqua dolce. Addirittura la presenza di agenti inquinanti in acqua viene rilevata e discriminata con adattamento immediato della lettura della profondità.
Tutti i computer COCHRAN rilevano costantemente la pressione atmosferica, anche da spenti, e questo consente un adattamento continuo dello zero della scala delle profondità rilevate. Dire che effettuiamo un'immersione a livello del mare non è informazione completa se prescindiamo dal rilevamento della pressione barometrica nel preciso istante in cui iniziamo la nostra immersione.
Proprio questa capacità dei computer COCHRAN consente il funzionamento come "scatola nera" rilevando qualsiasi variazione di altitudine cui il subacqueo è sottoposto prima e dopo l'immersione. Questa informazione viene continuamente trasferita all'algoritmo che istantaneamente si adatta per tener conto anche di piccolissime variazioni di pressione/altitudine in tutti i calcoli decompressivi.
La capacità di adattamento dell'algoritmo implementato nei computer COCHRAN non si limita a questo: difatti il subacqueo può anche "informare" la macchina relativamente al proprio stato di affaticamento e/o condizione fisica/psichica introducendo differenti impostazioni in merito al livello conservativo.

Microbubble Cognizant = tiene conto delle formazione di microbolle.
L'algoritmo compartimentale implementato in tutti i computer COCHRAN funziona secondo un metodo "preventivo" in base al quale, ammettendo che in fase di risalita si formano comunque delle bolle, tende a mantenerne la dimensione al di sotto della soglia di sicurezza prevenendo quindi rischi di DCI.
Detto obiettivo viene perseguito attraverso la velocità di risalita differenziata in funzione della profondità e di tappe decompressive più profonde. Abbiamo un algoritmo estremamente aggressivo e sicuro al tempo stesso. Rispettando la corretta procedura di risalita i computer della COCHRAN ci consentiranno di uscire dall'acqua più velocemente rispetto ad altri computer da immersione ma in totale sicurezza. L'algoritmo implementato nei computer della COCHRAN è appunto la diretta derivazione del VVAL 18 sviluppato dalla US NAVY ed applicato nelle nuove tabelle decompressive. L'obiettivo della US NAVY, all'inizio della ricerca, era quello di consentire ai NAVY SEALs una maggiore operatività a fronte dell'impiego di nuove tecniche di decompressione e nuove attrezzature subacquee. Aumentava la durata delle immersioni operative ed occorreva consentire all'operatore di uscire velocemente dall'acqua. Nel sistema militare un operatore addestrato è più importante dell'equipaggiamento impiegato perchè occorre tempo e denaro per formare un nuovo operatore quindi la sicurezza degli operativi è fondamentale. Il sistema decompressivo più sicuro e rispondente alle esigenze della US NAVY è appunto il VVAL 18 e lo strumento approvato ed adottato dalla US NAVY è prodotto dalla Cochran Undersea Technology. Ad oggi, nella ANU List degli equipaggiamenti approvati e codificati per impiego militare, nella categoria computer da immersione è riportata solo ed esclusivamente la serie COCHRAN.

Il modello EMC 20H simula 20 compartimenti per i propri calcoli decompressivi per tenere conto anche dell'inerte He.

La Cochran Undersea Technology ha sempre realizzato strumenti privilegiando la potenza di calcolo e la capacità di memorizzare e rilevare dati utili ai fini dei calcoli decompressivi prima, durante e dopo l'immersione. Unico nella sua classe il computer COCHRAN adotta un hardware molto sofisticato che abbinato ad un algoritmo avanzatissimo consente il campionamento dei dati ad intervalli di 1 secondo ed una capacità di memorizzazione dati elevatissima.

Il mondo della ricerca scientifica è concorde nel riconoscere che maggiore è la frequenza di campionamento maggiore è l'adeguatezza dello strumento e pone anche un limite massimo all'intervallo tra due campionamenti successivi: 4 secondi. Oltre i 4 secondi il computer si comporta come un lettore elettronico di tabelle e non come uno strumento di calcolo per immersioni multilivello. Altro dato importante è il numero di compartimenti su cui i calcoli decompressivi sono basati. Maggiore il numero di compartimenti, migliore la simulazione del comportamento del corpo umano in immersione ai fini del calcolo dell'assorbimento e rilascio di inerte dai tessuti.

Grazie a tutte queste caratteristiche di autoadattamento dell'algoritmo impiegato nei computer della serie COCHRAN consente al subacqueo di uscire dall'acqua più velocemente a fronte di tappe decompressive più profonde. Questo tipo di algoritmo si dimostra estremamente versatile e flessibile nell'impiego reale: da immersioni brevi e profonde a lunghissime immersioni con rebreathers spaziando per le miscele respiratorie dall'aria al nitrox ed al trimix con decompressioni accelerate in miscele iperossigenate.


venerdì 16 marzo 2012

venerdì 11 novembre 2011

Le pinne



E’ indubbio che progressi enormi sono stati raggiunti nel settore dei materiali e del design ma occorre sempre tener presente che mentre il design tende a far aumentare l’efficienza e l’efficacia di uno strumento, la ricerca nel settore dei materiali tende ad ottenere significativi risparmi sui costi.Ecco che la gomma viene soppiantata dai materiali termoplastici che se hanno una durata all’invecchiamento decisamente migliore hanno anche una resa inferiore rispetto alla gomma stessa.Da studi specificamente indirizzati al settore aeronautico e dallo studio delle pinne di animali acquatici si è preso spunto per disegnare pinne sempre più efficienti. Chiariamo il concetto di utilità della pinna: amplificare la spinta che potrebbero avere i piedi nudi. In pratica la pinna, grazie alla sua forma, consente di spostare una maggior massa d’acqua per ottenere una spinta propulsiva più elevata. Maggiore la massa d’acqua interessata maggiore la spinta.
Ovviamente avere una spinta propulsiva eccezionale ma non essere in grado di utilizzarla per mancanza della potenza necessaria a gestirla è inutile. Le pinne allora devono essere adattate alla morfologia del subacqueo medio per consentire ai più di impiegare con efficacia lo stesso strumento.
La pinna quindi non deve solo sviluppare il massimo in termini di prestazioni ma deve essere fruibile dalla massa (salvo il caso delle pinne specialistiche).L’obiettivo finale della ricerca è quello di ottenere un prodotto industriale con caratteristiche di elevata efficienza ed efficacia. Efficienza intesa come massima resa in relazione alla forza applicata ed efficacia intesa come essere in grado di assolvere al proprio compito di facilitare lo spostamento del subacqueo.
Purtroppo quando si concepisce un attrezzo che possa essere utilizzato dai più occorre rinunciare a qualche caratteristica o meglio prescindere da qualche dato importante tipo la tecnica per utilizzarlo.
Il maggior limite di una pinna è molto spesso nel subacqueo che non ha la tecnica per impiegare al meglio la propria attrezzatura: non conosce la tecnica della pinneggiata.
I maggiori produttori hanno capito perfettamente questo aspetto e ne hanno fatto un punto di partenza per la progettazione. Se da un lato il risultato (lusinghiero) è stato quello di rendere possibile a molti individui di accedere alle immersioni subacquee dall’altro la pinna è stata leggermente snaturata e non consente ai più esperti di esprimere il massimo rendimento proprio perché l’attrezzo non è stato pensato per loro.
Mescole molto morbide e leggere, ampie finestre di deflusso dell’acqua, forme particolari e molto altro hanno reso le pinne tanto comode da non sentirle ai piedi; purtroppo la sensazione piacevole per molti che percepiscono grandissima comodità si traduce nell’incapacità dell’attrezzo di tramutare la forza applicata dal subacqueo in movimento. E la sensazione di non sentire le pinne ai piedi si trasforma in una sensazione di grande frustrazione.Valutare ora quale sia la pinna migliore è molto difficile perché la pinna deve adattarsi al subacqueo ma il subacqueo deve saper pinneggiare. Individuare un attrezzo che perdona tanti errori non può essere un alibi per evitare di apprendere la tecnica giusta. Per valutare effettivamente quale sia la migliore pinna occorre effettuare una prova comparativa: diversi subacquei effettuano un identico percorso alternandosi nell’uso di vari modelli e valutando a posteriori la prestazione (tempo impiegato a percorrere una determinata distanza). Un’autorevole rivista Inglese effettuò tale test ed i risultati scaturiti furono sorprendenti: alcune blasonate pinne fecero una magra figura disattendendo quasi totalmente quanto dichiarato dalle aziende.
Ora è impensabile per un subacqueo medio effettuare tale test per scegliere le proprie pinne ma forse possiamo tentare di fornire un qualche criterio guida per non ritrovarsi con un attrezzo inutile tra le mani.
La scarpetta deve essere morbida in corrispondenza del collo del piede per non infastidire, ma deve avere il plantare sufficientemente rigido per trasmettere la forza alla pala.La pala deve mostrare una certa consistenza ed elasticità: la dobbiamo sentire. Basta afferrare la pinna all’estremità della pala e saggiarne la reazione elastica: se cede troppo meglio scegliere altro modello.
Tra i brevetti maggiormente in voga annoveriamo quelli della Nature Wings, azienda americana specializzata nella ricerca applicata la settore delle pinne, oggi utilizzati su licenza dalla maggior parte delle aziende specializzate. A parità di disegno la differenza di resa è data proprio dal materiale e coincidenza strana la gomma ha ancora le migliori performance. I longheroni della pinna dovrebbero essere elastici e corposi in modo da rendere la pala scattante in fase di pinneggiata.
Fatte queste considerazioni preliminari occorre poi provare la pinna a secco e verificare quale meglio si adatta al nostro piede e quindi quale marca di pinna più si adatta al nostro corpo.Il consiglio: apprendere la tecnica e acquistare un buon paio di pinne che non necessariamente sono le più costose o le più pubblicizzate.

La maschera

Maschera Frameless by GRAVITY ZEROConsiderata l'importanza di questo elemento, vi consigliamo di non risparmiare sull'acquisto della maschera. Gli appassionati di fotografia subacquea apprezzeranno soprattutto i modelli a lente unica che valorizzano maggiormente il viso. Cercate di non acquistare una maschera troppo piccola, in quanto potrebbe causare mal di testa durante l'immersione o al momento dell'uscita dall'acqua. Indossando per la prima volta una maschera nuova, non dimenticate di rimuovere la pellicola in silicone che avvolge il vetro. Se questa operazione non viene effettuata, si formera' continuamente della condensa nella maschera. Sfregate i due lati del vetro con del detersivo per i piatti o del dentrificio. Non utilizzate prodotti alcolici! Rischiereste di rovinare il labbro della maschera.  Quando si sente parlare di cerchietto, facciale, fibbia e cinghiolo, e' facile intuire che qualcuno sta' discutendo di Maschera Frameless by GRAVITY ZEROmaschere e, forse, chi non e' un subacqueo non riesce a comprendere cosa ci sia tanto da discutere su un oggetto cosi' semplice e comune. Forse e' vero, ma chi si immerge ben conosce l'importanza di questo indinsensabile oggetto cin grado di influire pesantemente sulla riuscita dell'immersione. Tutti , chi prima o chi dopo, hanno provato il fastidio generato da piccole infiltrazioni di acqua che lentamente si insinuano nella maschera costringendo a continui svuotamenti. Questo conferma che e' necessario provare la maschera che si adatta perfettamente alla conformazione del proprio viso e naturalmente che abbia anche caratteristiche adatte all 'attivita' che svolgiamo in immersione perche' la scelta del modello dipende anche da questo. La tendenza generalizzata dalla nuova produzione e' quella di proporre maschere con un volume interno ridotto, con cristalli sistemati alla minor distanza possibile dall'occhio , per aumentare il campo visivo. La struttura portante di una maschera e' costituita da un facciale morbido al quale sono uniti i vetri , bloccati dal cerchietto rigido che ha la funzione di mantenerli complanari e rendere stagna l'unione fra due elementi. Il facciale oggi e', in qualche modello, ancora realizzato con una mescola di gomma naturale ma , per la maggior pate delle maschere prodotte , il materiale utilizzato e' il silicone che, con le sue particolari caratteristiche conferisce una maggiore aderenza, leggerezza e morbidezza oltre a non risentire degli effetti dell'ambiente marino. Consente , inoltre, di offrire maschere colorate che migliorano il look e soddisfano chi desidera abbinare i colori delle proprie attrezzature. Il facciale nella parte che appoggia al viso e' realizzato con una morbida flangia la cui conformazione, unitamente a quella di tutto il profilo, e' stremamente importante perche' garantisce a tenuta all'acqua e deve perfettamente adattarsi alla forma del viso . Il cinghiolo e' un altro elemento fondamentale della maschera ma la sua funzione non deve essere travisata. Serve esclusivamente a trattenere la maschera sul viso e non deve essere eccessivamente teso per ovviare ad eventuali infiltrazioni. Un tempo era collegato direttamente al facciale tramite semplici fibbie in metallo, oggi, invece, grazie all'impegno profuso dai produttori nel realizzare attrezzature sempre piu' comode e sicure, lo stesso è agganciato alla maschera tramite vere e proprie fibbie facilmente regolabili anche in immersione con la maschera indossata ed in alcuni casi anche basculanti per consentire di sistemarlo nella migliore posizione sulla nuca . Maschera Frameless by GRAVITY ZEROLe diverse attivita' praticate in immersione hanno portato a realizare modelli con differenti soluzioni. Troviamo maschere con ridottissimi volumi interni e vetri separati, adatte ai pescatori o a chi fotografa, perche' consentono ai primi di immettere all'interno poca aria durante la discesa per ovviare allo sciacciamento della maschera sul viso ed ai secondi perche' la vicinanza delle lenti all'occhio permette una migliore visione nel mirino della macchna fotografca, e altre leggermente piu' grandi adatte per ci si immerge solamente per osservare richiedendo piu' comodita' ed un miglior campo visivo in tutte le direzioni. Maschera Frameless by GRAVITY ZERO In ultimo le famose Frameless ovvero le maschere senza telaio a lente unica che consento un perfetta addattabilità ed aderenza alla maggior parte dei profili facciali ed alla incredibile angolatura del campo visivo che puo raggiungere i 170° .


Sempre più spesso la pubblicità ci propone pinne in grado di farci muovere senza sforzo anche se le conoscenze scientifiche ci dicono che occorre applicare una certa forza per ottenere uno spostamento.Cerchiamo allora di fare una distinzione tra ciò che è marketing puro e ciò che è realtà.

La Revisione degli Erogatori

a cura di Fabrizio Pirrello
L’approssimarsi della stagione estiva coincide per molti subacquei con la ripresa delle attività.
Normalmente, se l’attrezzatura è stata riposta con cura essa sarà perfettamente efficiente. Tuttavia qualche controllo preliminare non farà male.
Proviamo a connettere l’erogatore alla rubinetteria della bombola e verifichiamo il corretto funzionamento dello stesso. Ricordiamo sempre di agire sul pulsante di erogazione manuale all’atto dell’apertura della rubinetteria: eviteremo “traumi” al I stadio del nostro erogatore.
Verifichiamo che non si abbiano indesiderate auto-erogazioni, sinonimo di anomalie di funzionamento.
Le possibili cause potrebbero essere diverse: dalla semplice necessità di agire sulla taratura del II stadio all’incisione della pastiglia di battuta del II stadio o del I stadio. Evitiamo di prendere sotto gamba il problema e corriamo ai ripari. Suggerisco di evitare il fai da te in quanto occorrerebbe avere la necessaria preparazione per intervenire, la cassetta attrezzi dedicata ed i ricambi del caso.
Effettuiamo un’ispezione visiva dell’erogatore stesso.
Controlliamo lo stato del filtro sinterizzato del I stadio: tracce di ossido sul filtro (o altre impurità) potrebbero essere il segnale di richiesta revisione dell’erogatore. Il filtro va periodicamente sostituito perché la sua efficienza diminuisce con l’usura: praticamente da un filtro ostruito non si avrà un buon passaggio dell’aria con conseguente calo di prestazioni dell’erogatore.
Ispezioniamo visivamente le membrane di carico e scarico: devono conservare elasticità e non devono mostrare segni di invecchiamento; nel dubbio sostituire.
Ispezioniamo anche il baffo di scarico: in particolare assicuriamoci che sia ben collegato così eviteremo di perderlo. L’estetica qui non incide sulla funzionalità.
Importantissimo controllo, spesso trascurato è quello della manichetta di bassa pressione che connette il I stadio al II stadio. La manichetta deve essere flessibile, senza tagli o screpolature. Inoltre la manichetta stessa reca la stampigliatura della data: significa che essa non è eterna e che è buona norma sostituirla dopo molti anni di uso anche se non presenta evidenti tracce di usura; un discorso analogo a quello degli pneumatici delle auto.
La complessità e l’accuratezza dei controlli da eseguire spesso suggerisce di ricorrere ad un centro di assistenza autorizzato.
Autorizzato significa che il centro dispone di utensili appositi, ricambi e personale addestrato per intervenire su quel tipo particolare di erogatore.
Analizziamo cosa deve fare un centro di assistenza autorizzato all’atto della revisione del vostro erogatore. Ponendo attenzione sulle operazioni di seguito descritte avremo anche la possibilità di verificare la professionalità dell’intervento, pur non essendo dei tecnici.
La revisione dell’erogatore comporta che lo stesso venga smontato e pulito.
Lo smontaggio di un erogatore manutenzionato correttamente non è operazione distruttiva: controlliamo che i pezzi non siano segnati dall’uso di chiavi non adatte o da operazioni maldestre.
La pulizia dell’erogatore smontato avviene tramite l’impiego di soluzioni apposite (che spesso vengono personalizzate nei dosaggi dai tecnici): la cromatura dell’erogatore non deve essere intaccata. I più attrezzati effettueranno la pulizia dell’erogatore con l’impiego di una vaschetta ad ultrasuoni, del tipo di quelle adoperate dai gioiellieri: metodo migliore, meno aggressivo e più professionale.
La revisione comporta l’ispezione di tutti i pezzi dell’erogatore e la sostituzione di tutte le guarnizioni (oltre che dei pezzi usurati).
Ad erogatore aperto la professionalità richiede la sostituzione di tutto il set di o-ring anche se essi appaiono ancora buoni. Le gomme invecchiano.
Il rimontaggio e la taratura sono le operazioni conclusive. Ogni casa ha uno schema di taratura ed i centri autorizzati sanno come effettuare la taratura stessa.
Il centro autorizzato alla consegna dell’erogatore al cliente deve consegnare oltre all’erogatore in buono stato anche i pezzi sostituiti (guarnizioni incluse): è sinonimo di grande correttezza. Tale pratica viene spesso disattesa e rimane allora il dubbio che non sia avvenuta alcuna sostituzione.
Potete richiedere che l’erogatore sia provato in vostra presenza per verificarne il funzionamento.
Un piccolo trucco che talvolta torna utile. Se avete qualche dubbio sull’intervento di revisione effettuato, fatevi aprire dal tecnico uno dei tappi di bassa pressione (LP e non HP perché la luce di passaggio dell’aria ha diametro sensibilmente diverso) e verificatene lo stato di pulizia e lo stato dell’o-ring. Devono essere perfetti. Personalmente mi è capitato di ritirare l’erogatore perfettamente lucidato all’esterno ma nulla era stato fatto all’interno. Come a dire che “non è tutto oro ciò che luccica”.
Svitare un tappino è questione di secondi e un centro autorizzato non si rifiuterà di eseguire l’operazione.
I centri di assistenza più seri vi consegneranno anche una scheda riportante il tipo, la matricola, il tipo di intervento effettuato sul vostro erogatore. Tale scheda alcuni tecnici la considerano come garanzia del lavoro svolto. Detti tecnici vanno apprezzati veramente, soprattutto perché sono rari.
Un intervento ben realizzato ha ovviamente un costo. Quando valutiamo questo costo cerchiamo di non perdere di vista che l’erogatore è quello strumento che ci consente di respirare in immersione.
Sicurezza e comfort hanno un valore sicuramente più elevato del costo di manutenzione.

Gli erogatori

A cura di Fabrizio Pirrello
La funzione primaria di un erogatore è quella di consentire la respirazione in immersione. Se ci limitassimo all’essenziale, tale funzione viene assolta dalla totalità degli erogatori in commercio e potremmo, quindi, affermare che gli schemi progettuali di tali strumenti siano tutti efficaci. Si potrebbe essere portati deduttivamente a pensare anche che gli erogatori siano tutti uguali o che ci sia una certa omogeneità di prestazioni, ma ciò in realtà non corrisponde al vero. Abbandonando tale semplicistica visione che impedisce di affrontare il problema in maniera compiuta, si può affermare che: non basta fornire aria al subacqueo, ma è necessario fornirla in un certo modo. L’erogatore è, infatti, il cuore pulsante dell’apparato subacqueo, il più importante ed il più delicato.
SRB1 - Sherwood Scuba

Molti produttori o distributori si soffermano alquanto sulla portata d’aria di un erogatore, dichiarando flussi anche superiori a quanto si riscontra con un semplice test. 
 Sufficiente leggere la portata dichiarata al I°stadio e collegare lo stesso alla rubinetteria di un gruppo carico. Supponiamo di utilizzare una bombola da 15 litri caricata a 200 bar: 3000 litri di aria disponibili. Se colleghiamo il primo stadio con tutte le fruste disassemblate ed i tappi di media ed alta pressione rimossi ed apriamo il rubinetto della bombola, stando ai dati dichiarati, dovremmo riuscire a vuotare la bombola stessa in un tempo di 1 minuto o anche meno stando al dichiarato.
Molto importante, invece, è la modalità con cui l’erogatore fornisce aria respirabile, cioè la qualità dell’erogazione. Determinante è: quanto l’erogatore ci consente di respirare in immersione in maniera naturale. Lo sforzo inspiratorio quanto lo sforzo espiratorio devono essere molto bassi, l’erogazione deve essere lineare, senza inutili quanto fastidiose “sparate” d’aria. Se consideriamo, quindi, l’erogatore sotto l’aspetto della qualità dell’erogazione, l’offerta del mercato diventa - così - molto più ristretta. Anche la normativa, che fissa le prestazioni minime che uno strumento deve avere, non è omogenea.
Lo standard CE EN250 è molto meno significativo del parametro fornito dalla US NAVY (norma molto più restrittiva della EN 250). Sarà da preferire, ovviamente, uno strumento che disponga di questa seconda certificazione.
Sul mercato, a fronte di un’offerta apparentemente molto diversificata, poche sono le novità di rilievo nella produzione. Nel catalogo di molte aziende si avvicendano, con una frequenza molto più elevata che in passato, numerosi modelli di erogatore che si distinguono dai vecchi nella forma esteriore, restando spesso nella sostanza le medesime macchine. Di converso, altre aziende mantengono in catalogo modelli ben collaudati che resistono per anni senza modifiche, a riprova della validità dei progetti iniziali. Nella scelta, quindi, non lasciamoci ingannare da chi presenta ogni stagione modelli nuovi e accattivanti: poca tecnologia e molto marketing.
Sul versante dei materiali impiegati, valutare la qualità e la convenienza dei materiali impiegati è cosa molto difficile per un non addetto al settore. Alcuni materiali, come ad esempio le leghe leggere o il titanio, non aggiungono nulla in termini di prestazioni e sono a volte causa di qualche problema in fase di impiego reale.
Inoltre, l’impiego di taluni materiali fa aumentare considerevolmente i costi rispetto all’impiego dei ben collaudati materiali tradizionali.

Attacco DIN o INT? L’INT è ancora molto diffuso, tuttavia il DIN è estremamente più sicuro. Occorre però aggiungere, per completezza, alcune considerazioni. Le bombole alle quali connettiamo i nostri erogatori hanno delle specifiche pressioni di esercizio che vanno tassativamente rispettate. Analogo discorso per quanto riguarda gli attacchi degli erogatori. Posto che in Italia la pressione di esercizio massima consentita è di 250 bar e che esistono in commercio bombole omologate per quelle pressioni verifichiamo sempre che i nostri erogatori siano compatibili con le stesse.
Schematizzando:
attacco DIN 300 bar che monta su tutte le rubinetterie in circolazione
attacco a staffa INT 232 bar da utilizzarsi fino a detta pressione di esercizio
Se osserviamo con attenzione cosa accade nella produzione noteremo alcune incongruenze proprio in relazione agli attacchi. Ci sono aziende che commercializzano bombole da 18 litri a 220 bar di esercizio ed erogatori con attacchi DIN 200 bar (stampigliatura sull’attacco). Appare evidente che montare un attacco DIN 200 bar sulla rubinetteria di una bombola carica a 220 bar crea qualche problema in termini di sicurezza. Spesso nulla accade, proprio grazie ad una certa tolleranza dei pezzi che sono sovradimensionati rispetto all’impiego per cui sono progettati. L’operazione è, comunque, sempre impropria quando non si rispettano le pressioni di esercizio di erogatori e relativi attacchi.
Nella scelta dell’erogatore va tralasciato il più possibile il discorso estetico. La scelta cadrà sulla robustezza, l’affidabilità e la qualità. Verifichiamo l’ergonomia dello strumento. Il numero di attacchi di alta e bassa pressione devono essere sufficienti e ben distribuiti sul corpo del I° stadio per tutte le necessità. Le torrette girevoli sono inutili se le prese LP e HP sono ben orientate.
Sul secondo stadio verifichiamo invece la presenza o meno di pomelli vari di regolazione e poi chiediamoci se effettivamente ci servono o costituirebbero solo un’ulteriore complicazione in fase di manutenzione. La presenza di un boccaglio anatomico e ben conformato aggiunge parecchio comfort all’erogatore nell’uso quotidiano.
Da considerare anche con attenzione l’uso che faremo del nostro erogatore: immersioni in acque fredde (sotto i 15°C), immersioni in acque ricche di sospensione, immersioni lavorative, ecc..
Tendenzialmente, un modello di erogatore con I° stadio sigillato risolve le problematiche sopra citate senza l’ausilio di kit specifici.
Per quanto riguarda le prestazioni, orientiamoci in maniera decisa verso erogatori di fascia alta in quanto a performance. Comfort e sicurezza devono essere i parametri guida per poter godere appieno delle immersioni, piuttosto che il risparmio di qualche decina di euro.
Nella scelta dell’erogatore, un discorso spesso trascurato è quello della manutenzione, in termini di costi e disponibilità. I pezzi di ricambio devono essere facilmente reperibili e non devono avere un costo esagerato. Spesso la “ricambistica” ha in Italia un costo spropositato rispetto al valore del prodotto stesso. Richiediamo al rivenditore, se possibile, uno spaccato dell’erogatore che ci interessa con i relativi codici e costi al pubblico dei ricambi e dei kit di manutenzione programmata. Scopriremo dei particolari molto interessanti.
Sistema Octopus o due distinti secondi stadi? Molto meglio due erogatori distinti e separati, di pari livello.
Ho sentito spesso istruttori suggerire agli allievi di acquistare un secondo erogatore di basse prestazioni perché tanto non lo si usa mai ed altri suggerire di acquistare un secondo erogatore di prestazioni ancora migliori del primo. Entrambe le affermazioni sono errate. Un secondo erogatore potrebbe essere impiegato in un ipotetico caso di emergenza e quindi un erogatore di scarse prestazioni creerebbe ulteriori problemi proprio nella delicata fase di un’emergenza. Un secondo erogatore migliore del primo finirebbe per essere utilizzato come erogatore primario, perché non avrebbe senso alcuno respirare sempre da un erogatore di basse prestazioni. La soluzione corretta è adottare, da subito, due erogatori separati di ottimo livello ed identici in modo da alternarne l’uso in immersione (o anche in più immersioni) in modo da sfruttare entrambi ed abituarsi, nel contempo, a cambiare erogatore in immersione. Ciò consentirà di verificarne continuamente il corretto funzionamento di entrambi ed eventualmente intervenire con la manutenzione.